mercoledì 21 settembre 2011

Rassegna(TA) stampa

Oggi inizia la settimana della moda a Milano, il Corsera dedica un bellissimo inserto celebrativo 2001 - 2011: che mostra una cosa che avevamo capito già da un po': dopo gli 80 ecco il revival de li 90. 
Il problema è che tutto si ripete un po' troppo uguale, non vorrei vedere magistrati che saltano per aria per mano mafiosa e mandanza politica. 
Invece io già la stagione scorsa mi sono comprata i doc martens che per andare ai concerti rock sono ottimissimi. 
E poi a un sacco di gente je viene sta voglia di rivoltarsi: c'è in giro un'anarchia strisciante. Si rioccupano gli spazi. Si torna in piazza. Stamo a impazzì.
Alcuni Lucidi folli autori vedono in avanti: come il grande Alan Ball che con la quarta stagione del suo True Blood finalmente non sbaglia un colpo. 
Ottimissima anche la colonna sonora che raccomando: si apre con questo bel pezzone e annuncia tutto e sopratutto il tema:
Abbiamo capito perchè Sookie doveva essere una fata del cazzo... in preparazione della strega !
 

venerdì 9 settembre 2011

Grey's Anatomy: la voice over


La voce narrante di Grey’s Anatomy: Meredith, la protagonista ci porta dentro le emozioni di ogni episodio, facendo da introduzione e conclusione. Una presenza così densa della voice over permette allo spettatore di approfondire le sfumature emotive di ogni puntata.
In diverse serie americane degli ultimi anni si è fatto un uso molto attento della voice over: da Desperate Housewives, dove la defunta Mary Alice commenta le vicende delle sue ex vicine di casa, a Sex and the City, dove gli articoli sul sesso di Carrie facevano da sottofondo riflessivo alle avventure erotiche delle protagoniste.
La voice over di Grey’s Anatomy è diventato un vero marchio di fabbrica, tanto da essere anche sbeffeggiato in un’altra serie medica: Scrubs, quando il dott. Cox elenca le voice over di Grey’s come una delle cose che più odia, peraltro anche in Scrubs c’è un ampio utilizzo della voice over di JD in chiave ironica.

La prima puntata di Grey’s Anatomy, probabilmente uno dei migliori pilot degli ultimi anni, usa la voce di Meredith per chiarire quale sia la posta in gioco, in tutta la serie: “Il gioco. Dicono che o hai quel che serve per giocare, oppure no. Mia madre era una delle migliori. Io…in effetti…sono un po’ nervosa.” La competizione, la tensione, la necessità di essere solidali, la solitudine, sono questioni che Meredith, George, Izzie, Cristina e Alex, i giovani tirocinanti, dovranno affrontare nel corso della serie. Inoltre, ovviamente ci sono i problemi di cuore. Ma per questi l’ospedale sembra un terreno di gioco molto interessante. Come ci dice Meredith nel commento finale: “Non riesco ad immaginare una sola ragione per essere un chirurgo, ma riesco a pensare a centinaia di motivi per cui dovrei mollare. Ci sono vite nelle nostre mani. A un certo punto diventa più di un gioco: allora o fai un passo avanti o ti volti e te ne vai. Potrei mollare, ma c’è un problema: mi piace il campo di gioco.”

Grey’s Anatomy è una serie dove i protagonisti sono messi continuamente alla prova sia dal punto di vista professionale che personale, anzi generalmente i due aspetti coincidono. Meredith e Cristina che si innamorano dei loro capi, Izzie che si innamora di un paziente e per lui rischia di buttare via tutta la sua carriera, anche la gara che Burke, Derek, Addison e Mark conducono per diventare primari ha molto a che fare con le implicazioni personali e sentimentali delle scelte professionali. Ci sono dei limiti, dei confini, alcuni da attraversare, altri no. Nella seconda puntata della prima serie Meredith dice: “è una questione di linee. Il traguardo finale alla fine del tirocinio, aspettare in fila per una chance al tavolo operatorio, e c’è la linea più importante, la linea che ti separa dalle persone con cui lavori. Hai bisogno di confini, tra te e il resto del mondo.” Ma alla fine spesso i propositi iniziali crollano: “I confini non tengono fuori gli altri; ti rinchiudono dentro. La vita è un casino, è così. Allora puoi sprecare la tua vita disegnando linee o puoi vivere la vita attraversandole. Ma alcune linee sono troppo pericolose da attraversare. Lo so. Se però hai il coraggio di tentare, la vista dall’altra parte è spettacolare.”

Essere chirurghi, avere tutto, amore e carriera, felicità e soddisfazione, richiede molto impegno. E gli impegni che prendiamo con noi stessi, con gli altri sono alla base di molti dilemmi dei protagonisti di Grey’s Anatomy. “Per riuscirci, riuscirci davvero, come chirurghi, bisogna impegnarsi al massimo” dice Meredith all’inizio della sesta puntata dell’ultima serie, Questione di impegno (in originale Let the angels commit). In questa puntata George deve decidere se impegnarsi davvero con Callie, mentre Cristina è ormai intrappolata nel suo impegno per coprire i problemi di Burke con la mano. “A volte anche i migliori di noi hanno problemi a impegnarsi, e potremmo essere sorpresi dagli impegni che lasciamo scivolare via dalle nostre mani. Gli impegni sono complicati. Potremmo essere sorpresi dagli impegni che siamo pronti a prendere. Il vero impegno richiede sforzo e sacrificio. Ecco perché a volte, dobbiamo imparare dagli errori, e scegliere i nostri impegni molto attentamente.”

Ogni episodio di Grey’s Anatomy ruota attorno a un tema preciso, spesso, come nel caso dell’impegno, espresso in una sola parola. Gli sceneggiatori riescono con abilità a intrecciare diverse storie in una puntata, dai casi medici all’evoluzione delle vicende dei protagonisti, facendo ruotare tutto su un unico tema. Nell’episodio Fantasie della terza serie Meredith immagina di essere a letto al contempo con Derek e Finn, il veterinario: “I chirurghi di solito hanno fantasie su operazioni selvagge e improbabili. Uno collassa al ristorante, lo apri con un coltello da burro, rimpiazzi una valvola con una carota svuotata. Ma prima o poi un altro genere di fantasie si presenta. La maggior parte delle nostre fantasie finiscono quando ci svegliamo, svaniscono nella nostra testa, ma a volte siamo quasi certi che se ci proviamo abbastanza potremmo vivere il sogno”. È così che Meredith decide di uscire contemporaneamente con Finn e Derek, solo appuntamenti, per divertirsi e sentirsi corteggiata e vivere la sua fantasia, anche se in forma edulcorata. Intanto Alex affronta il caso di una bambina che crede di avere i superpoteri, perché non sente mai dolore, in realtà la piccola ha un problema neurologico e la sua storia insegna come vivere i propri sogni non sia sempre la cosa migliore. “La fantasia è semplice. Il piacere è buono, e raddoppiare il piacere fa ancora più bene. Il dolore è cattivo,  niente dolore è meglio. Ma la realtà è diversa. La realtà è che il dolore esiste per dirci qualcosa. Forse va bene così. Forse alcune fantasie dovrebbero esistere solo nei sogni”, dice Meredith nel finale mentre Cristina porta dei polli a Burke per esercitarsi a suturare, Izzie è ancora in piedi davanti all’ospedale e Alex la accompagna a casa.

Una degli inizi più coinvolgenti e anche più eccezionali è quello dell’ultima puntata della seconda serie, la mitica puntata del ballo, della morte di Denny, di Meredith e Derek che fanno l’amore nello stanzino. La puntata si apre con le voci dei diversi personaggi: “Meredith: Gli esseri umani hanno bisogno di molte cose per sentirsi vivi. George: La famiglia; Cristina: L’amore; Izzie: Il sesso; Derek: Ma abbiamo bisogno di una sola cosa…Burke: Per essere davvero vivi; Cristina: Abbiamo bisogno di un cuore che batte; Addison: Quando il nostro cuore è in pericolo; Alex: Rispondiamo in due modi; George: O scappiamo, o…; Izzie: Attacchiamo; Capo: C’è un termine scientifico; Alex: Comabatti; Addison: O fuggi; Bailey: È l’istinto; Meredith: Non possiamo controllarlo; Izzie: o forse si?”

sabato 3 settembre 2011

DISSOLUZIONE DELLA DIACRONIA


Il postmoderno è il presente, ma cosa lo definisce, cosa lo caratterizza? In sé è un effetto di temporalità, un presente vissuto come postumo. (Freud aveva già annunciato che il sapere si costituisce come sapere posticipato – nozione di nachtraglich, aprés coup). “Dirsi postmoderno significa riconoscere, consapevolmente o no, che non si è in grado di trovare negli anni che viviamo dei caratteri positivi che li distinguano dal mondo di ieri. […] Questi uomini di oggi non sanno che dirsi epigoni o posteri.” G. Petronio, Postmoderno? 
In questo momento storico più che posteri ho la sensazione che la gente abbia molti (troppi) postumi

giovedì 1 settembre 2011

Cosa è il dramma


Tanto l’incipit lo riscriverei un miliardo di volte. Una volta qualcuno mi chiese qual era la prima parola della mia tesi di laurea. Al momento non la ricordo. La verità è che potrei andare a cercare nei files, ma non ne ho voglia. Preferisco pensare che se fosse importante la parola me la ricorderei, invece è importante la domanda. Perché la domanda mi fa riflettere sull’incipit. Ma siccome questo non è l’incipit di un cazzo, andiamo avanti…
È che caricare il lavoro di un’aspettativa esagerata rischia di essere bloccante, forse è questa la ragione intrinseca del blocco dello scrittore. La paura. Che genera frustrazione e impossibilità di agire.
Io le paure ho sempre cercato di superarle. Ho sempre voluto. Si trattava di un desiderio di avventura. Ma anche di una necessità di fuga. Quando ero bambina andavo a letto con la pistola (giocattolo). L’idea è tipo: Freddy Kruger vieni che ti faccio il culo!
La verità è che sono cresciuta come una bambina nei boschi delle storie. Prima di scrivere ho soprattutto letto e mi sono divertita un sacco con delle fantasie troppo intrippose per poterne fare a meno da adulta.
Il problema vero è che mi diverto un sacco a immaginare le cose e questo, quando diventa un lavoro, sembra troppo meschino nei confronti del resto del mondo che appare invece drammaticamente bloccato all’interno di schemi di pulsioni e frustrazioni.
Sono cresciuta accanto a matti, questa è la salvezza e la chiave. Mamma la sapeva lunga: sentenziava molto, forse troppo, ma era così convinta di quello che diceva che suonava del tutto vero. Anche perché non lo diceva da sola.
Allora riflettiamo meglio: le storie che mi piacciono sono quelle delle bambine curiose e coraggiose. Non amo i divieti, ma rispetto le regole del gioco. Sempre. È importante avere delle buone regole, cioè efficaci. Altrimenti ti perdi facilmente. Le regole sono una guida, almeno per iniziare.
Poi c’è l’obbiettivo, che è altrettanto importante. Tra le regole e l’obbiettivo si esercita una tensione. Che rende l’obbiettivo necessario per la sopravvivenza/felicità/godimento e le regole stimolanti e costrittive al punto giusto da rendere il raggiungimento dell’obbiettivo drammatico, cioè ricco di azione.
Allora io adesso mi trovo in una biblioteca: ho la fortuna che si tratta di casa mia (cioè casa della mia famiglia). Quindi per me la biblioteca è un territorio da esplorare. Ci ho sempre trovato cose meravigliose.
Mi hanno allenato a farmi sempre delle domande, fino all’origine. E siccome mamma lavorava con Freud (con ricche intromissioni di molte altre cose) e papà è fondamentalmente un lettore compulsivo e il caso clinico più eccelso di cui mamma potesse innamorarsi, io sono sempre stata immersa nelle parole. Alla lettera.
Quindi etimologia: ho studiato greco antico e latino, con mamma che prima di essere un’analista era professoressa di lettere nel (s)fottuto ’68 e papà che parla molto bene le lingue, francese, tedesco, spagnolo, inglese (in realtà ormai peggio di me, eheheh). Quindi parole, ma, giusto per inciso, mamma parlava e basta e papà leggeva e basta. A me la famiglia Addams sembrava una famiglia totalmente normale. Noi eravamo i mostri veri.


Ma torno al punto che è: dramma.
Cosa è il dramma? Dall’enciclopedia è prima di tutto una moneta della grecia antica. Quindi dramma significa valore, aggiungerei, simbolico, sin dai tempi della Grecia antica. Se avete letto o visto uno qualsiasi dei vecchi, Eschilo o Euripide, appare evidente perché. Sono rappresentazioni molto potenti.
Dramma uguale denaro. C’è chi la chiama catarsi o entertainment, è la stessa cosa.
Sull’enciclopedia c’è scritto: “Se una donna avesse dieci dramme e ne perdesse una di quelle, or non accenderebbe ella la lucerna e rivolgerebbe tutta la casa tanto che ella la ritrovasse?” Si perché una donna sa che una scena di autentico dramma isterico è sempre un pezzo di bravura degno di molto valore (che, se volete = molto sesso = molto godimento).
Comunque dramma è anche un’unità di peso. Perché il dramma pesa, e spesso molto. Soprattutto su chi lo vive, ma per noi è importante che pesi su chi lo scrive, perché gli autori hanno una grande libertà: che chi lo vive non esiste.

Poi a dramma significa appunto, precisamente. E questo mi sembra anche molto importante. La risposta è sempre nel concept. Gli ammericani dicono let’s cut to the chase. Cioè: non menarla mai più a lungo del necessario e occhio a divagare. Tutti ci perdiamo dietro i fantasmi, ma l’unico fantasma che conta è quello originario; cioè quello che fonda il protagonista (o l’autore). È che a volte ci vuole una buona dose di azione, prima di capire che Slimer è il personaggio più significativo di Ghostbuster.

Poi a dramma a dramma: significa a poco a poco, parte per parte, mano a mano. Un concetto che se scrivi una scaletta è evidente: cioè ad un’azione succede una reazione. C’è chi lo chiama conflitto, mi pare che Freud lo chiami tensione, che a me piace di più perché implica l’idea di elasticità, mentre il conflitto lo vedo come una battaglia in cui c’è un vincitore, mentre invece la tensione può durare, il conflitto deve avere una fine (che è sempre una forma di morte, cioè una conclusione, un senso che è – in anticipo - un po’ troppo definitivo per poter sostenere l’infinito secondo atto). Diciamo che la tensione perdura, quindi continua irrisolta fino al conflitto, che è sempre finale, cioè può essere un gancio, se la sua risoluzione resta sospesa (commento dalla regia: sceneggiatori di Lost perché ho sempre la sensazione che state prendendo il pubblico troppo per i fondelli: you should worship your audience and give them a decent ending!), ma è sempre la battaglia finale (che sia di una puntata o di un film)
Essere a una dramma per fare una cosa: trovarsi sul punto di fare una cosa. Questo è interessante perché rappresenta il senso della scelta. Il protagonista deve trovarsi di fronte a un dilemma. Più forte è la tensione del dilemma, tra una cosa o un’altra, più intenso è il dramma.

Vendere il cervello a dramma: svolgere la propria attività intellettuale al servizio del miglior offerente. Questa a me fa molto ridere: mi viene in mente la scena di Frankestein JR quando Igor spacca la teca col cervello buono ed è costretto a prendere il cervello AB-Normal. Sul piano politico mi viene da pensare che l’unico produttore (cioè diavolo) a cui vale la pena vendere il tuo cervello è quello pazzo abbastanza da capire che per il lavoro che fai non puoi che essere AB-Normale e in fondo non c’è niente di male, perché la verità è che puoi fargli guadagnare un sacco di soldi inventando good drama.

Vorrei concludere solo con una storiella ebraica. Perché gli ebrei sono il popolo del libro e forse sono il popolo che è riuscito a perdurare più a lungo nella storia perchè quello che fanno è raccontare:
“Una storia va raccontata in modo che sia essa stessa un aiuto” e raccontò: “Mio nonno era storpio. Una volta gli chiesero di raccontare una storia del suo maestro. Allora raccontò come il santo Baalshem solesse saltellare e danzare mentre pregava. Mio nonno si alzò e raccontò, e il racconto lo trascinò tanto che ebbe bisogno di mostrare saltellando e danzando, come faceva il maestro. Da quel momento guarì. Così vanno raccontate le storie.”

Se vi vergognate di essere il giullare di corte non provateci nemmeno.