mercoledì 29 febbraio 2012

Condivido ergo sum

Il mantra del social network. Il dogma dell'essenza virtuale è diventato questo: shareshareshare. Dovunque, sempre e comunque. Per esserci devi condividere. Qualsiasi cosa va bene. Basta che lo fai. Condividi il malumore mattutino, condividi la colazione calorica, condividi il pranzo davanti al pc con il pc, condividi quello che vuoi fare stasera, condividi quello che non hai fatto ma che avresti voluto fare, condividi quello che avevi programmato di fare e l'imprevisto per cui poi non l'hai fatto. Condividi il tono della cacca quotidiana. Condividi, oppure crepa.
Lo so i messaggi sullo stress da condivisione sociale virtuale forzata non sono certo una novità, ma stasera m'è venuto anche a me e l'unica risposta che mi do è il mio mantra della serenità. STI CAZZI
Posso aggiornare lo status di FB a ripetizione scrivendo solo sticazzisticazzisticazzi tutti i giorni alla stessa ora per un periodo di tempo indefinito. Potrebbe essere un esperimento comunicativo interessante. Solo per vedere i commenti.



E perchè poi il vero punto del condividere 2.0 non è più la democrazia tecnocomunista del filesharing dei bei tempi. Ma è diventata una completa deriva narcisistica dello spettacolo totale, di massa. cerco di non deviare troppo sull'ala guy debord, ma il fatto del mettere in comune su FB non lo si fa per gli altri, lo si fa per sé. Quello che ci interessa non è l'atto (non è il dire qualcosa) ma la risposta. La maggior parte delle persone che usa i social network lo fa alla stessa maniera in cui il buon Narciso si affacciava sullo stagno. Con l'aggiunta che stavolta lo specchio ti parla con la moltitudine di voce dei tuoi contatti, della tua rete. è uno specchio condiviso (anche se non sempre condivisibile) Quello che ti aspetti veramente è la risposta, il commento, alla continua verifica/ricerca dell'Altro. Un altro che di solito è altrettanto evanescente che l'immagine riflessa nello stagno. Una moltitudine di presenze eteriche con cui hai l'illusione di essere in costante contatto. Che magari non conosci neanche o che magari sono totalmente illusorie. Al confronto i medium che parlano con i morti mi sembrano persone molto più sane di mente di quelli che dialogano con se stessi, convinti di parlare con altri. Tra l'altro questo mi sembra anche fomentare delle forme comunicative sempre più aggressive, provocatorie (non che la provocazione non mi faccia simpatia), polemiche. Questo poi ha l'effetto di sminuire il livello reale della provocazione (la gente si scandalizza per cose sempre più ridicole, il tabù ormai è solo un gioco da tavolo, nessuno si diverte più a infrangere i tabù)
Non vorrei far credere che con questo discorso che sono di quelle che dicono che la rete fa schifo, ci ha spersonalizzati, ci ha resi schiavi delle macchine etc... Lo sapevo già prima della primavera araba che la rete permette che succedano delle cose. Quello che mi ha fatto pensare la primavera araba è che un movimento politico rivoluzionario è stato assorbito alla velocità della luce dal mondo mediatico come fenomeno mediatico, trasformato in una campagna promozionale dei social network. La rete parla della rete. Il medium era il messaggio. Adesso il messaggio sono i media. In questo vedo la dinamica narcisistica di riflesso. Non importa più il messaggio reale (politico, sociale). Importa l'elemento condiviso. Anche se non ho nulla in comune con la mia coetanea egiziana in piazza Tahrir, condividiamo. Ma cosa condividiamo veramente? Nulla a parte una tastiera e uno schermo.
è lo sviluppo di una nuova coscienza collettiva modulata sul modello rizomatico?
è l'inizio della dittatura delle macchine e finiremo tutti a vivere di sogni ridotti a pile immaginifiche?
STI CAZZI
STI CAZZI
STI CAZZI

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